In questa intervista rilasciata in esclusiva ad ANDI Bologna, la Dottoressa Raffaella Lecchi, specialista in ortognatodonzia e odontoiatria infantile, fa il punto sullo stato dell’arte dell’ortodonzia, tra nuove frontiere aperte dalla rivoluzione digitale e sfide che ci attendono nel prossimo futuro.

L’ortodonzia è spesso considerata una branca quasi a sé stante dell’odontoiatria, forse anche perché chi la esercita vi si dedica in modo esclusivo e per lo più in forma di collaborazione. Negli ultimi anni questa visione sta cambiando?

L’ortodonzia è una branca a sé stante in ambito odontoiatrico perché è sicuramente complessa e articolata. La parte diagnostica comprende non solo la componente dentale, ma anche quella scheletrica cranio-facciale ed estetica del viso, che vanno combinate; la diagnosi ortodontica, inoltre, spesso è resa ancora più complessa perché riguarda pazienti in età evolutiva, pertanto l’ortodontista, nel tempo, deve osservare, favorire o adattare la terapia alle previsioni di crescita individuali. A questo si aggiunge un ampio ventaglio di tecniche ortodontiche che negli anni si sono profondamente evolute e diversificate obbligando ad un continuo aggiornamento. Per tutti questi motivi, l’odontoiatra spesso sceglie di esercitare l’ortodonzia in modo esclusivo, al fine di garantire un’eccellente preparazione e un’ottima competenza ortodontica. Talvolta, però, tale esclusività induce gli specialisti a intraprendere numerose collaborazioni sporadiche che rischiano di offrire trattamenti magari efficaci, ma meno efficienti. In tal senso, la creazione di realtà iper-specialistiche garantirebbe sicuramente una più alta qualità del lavoro e della comunicazione.

Ortodonzia invisibile, mini-viti ortodontiche, impianti ortodontici, brackets customizzati sono solo alcune delle novità degli ultimi anni, rese possibili anche grazie alla rivoluzione digitale. Com’è cambiata l’ortodonzia negli ultimi 20 anni grazie all’avvento delle nuove tecnologie?

Gli ancoraggi scheletrici e l’ortodonzia invisibile sono sicuramente le due più importanti innovazioni nel mondo ortodontico e l’avvento del digitale ha permesso che potessero evolvere, raffinarsi e diffondersi molto più rapidamente. In particolare, l’utilizzo di ancoraggi scheletrici ha portato a nuove potenzialità di trattamento e ha reso alcuni approcci terapeutici decisamente più predicibili, nonché ridotto sensibilmente la necessità di collaborazione da parte dei pazienti, aspetto spesso fonte di forte criticità durante il trattamento. In ambito interdisciplinare, il digitale ha favorito e facilitato l’intervento in casi complessi multidisciplinari, ma ha anche permesso di semplificare la risoluzione di problematiche odontoiatriche più localizzate, prima destinate a terapie di compromesso. L’utilizzo di allineatori trasparenti, inoltre, rispondendo sempre di più alle forti esigenze estetiche attuali, ha aperto le porte dell’ortodonzia a tutti quei pazienti, adulti e adolescenti, che in passato rifiutavano il trattamento.

Quali sono le sfide dell’ortodonzia del futuro, i campi nei quali la ricerca deve profondere gli sforzi maggiori per migliorare la terapia ortodontica?

Ritengo che in questo momento gli sforzi maggiori siano applicati nella diagnostica digitale, mirata a creare modelli perfettamente sovrapponibili alla realtà, su cui poter simulare e programmare spostamenti e modifiche ripetibili sia dei tessuti duri che dei tessuti molli e avere una visualizzazione realistica del risultato. Questo processo sta permettendo, in numero sempre maggiore, la programmazione di casi ortodontici complessi e soprattutto di casi interdisciplinari articolati. Rappresenta, inoltre, un ottimo mezzo di monitoraggio intra-terapeutico per il professionista.

Il digitale ha spalancato nuove frontiere ma, com’è avvenuto in altri campi dell’odontoiatria, ha anche aperto la strada a una pletora di terapie “fai da te”, che portano più danno che benefici. Come vede questo fenomeno che, specialmente in implanto-protesi, sta causando gravi controversie legali?

Le nuove possibilità offerte dall’ortodonzia digitale stanno portando molti vantaggi al clinico e al paziente, ma purtroppo hanno aperto anche problematiche poco normate, che mettono a rischio soprattutto la salute del paziente inconsapevole. L’esempio più evidente sono quelle aziende che propongono direttamente al paziente di autorilevarsi le impronte per la realizzazione di allineatori basati su diagnosi e terapie eseguite a distanza da parte di personale con qualifiche poco chiare, che poi vengono consegnati via posta. Tale approccio può comportare dei gravi rischi per la salute del paziente, poco monitorato da un punto di vista terapeutico e poco tutelato per quanto riguarda le responsabilità professionali, che spesso poi si scaricano su noi professionisti costretti a intervenire su condizioni decisamente più compromesse e complesse. A tal riguardo è compito e dovere di noi professionisti sottolineare l’estrema importanza della visita clinica e dell’approfondimento diagnostico condotto da specialisti, con esami radiografici mirati, analisi dentali ed estetiche che permettono di programmare una terapia specifica per ciascun paziente.

Chiudiamo con uno sguardo al futuro: cosa consiglia a un giovane che voglia intraprendere la carriera di ortodontista? Quali sono i passaggi fondamentali formativi e non da percorrere?

Ad un giovane Odontoiatra che desideri percorrere la “strada dell’ortodontista” consiglierei in primis di prendere la Specialità in Ortodonzia e, inizialmente, investire gran parte del proprio tempo professionale in corsi specifici focalizzati sulla diagnosi, parte fondamentale di un trattamento, e sulla biomeccanica ortodontica, così da ottenere una base solida di conoscenza e competenza da integrare poi nel tempo con metodiche ausiliarie innovative. Inoltre, oggi ritengo indispensabile affiancare alla conoscenza dell’ortodonzia tradizionale un’ottima gestione degli allineatori trasparenti e dell’utilizzo di software per la programmazione in digitale, apparentemente di facile utilizzo, ma che in realtà necessita di una lunga curva di apprendimento.

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